03 febbraio 2010

omelie dei preti

Ieri c'è stata una discussione in Consiglio Presbiterale sulle omelie della messa domenicale. Secondo il segretario della Conferenza Episcopale Italiana molte sarebbero pastoni immangiabili. Qualcuno dei presenti diceva che la prepara dal lunedì precedente per poterla "ruminare" bene. Qualcun altro parlava di scriverla. Qualcun altro ricordava i tempi in cui si studiava dizione. Qualcuno ha parlato anche della convinzione e della fede che dovrebbe trasparire dalle parole di chi la tiene. Che cosa colpisce di più di un'omelia?

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2 Commenti:

Alle 17 febbraio 2010 alle ore 22:33 , Anonymous Stefano ha detto...

Personalmente sono colpito dalle omelie che, in un tempo non necessariamente breve, mi chiariscono con parole semplici i concetti espressi nella lettura e forniscono esempi di come vivere concretamente quei concetti.
Scrivere l'omelia è un rischio: la costruzione delle frasi, nel linguaggio scritto, è diversa da quella del parlato e questo potrebbe rendere meno immediata la comprensione di alcune di queste, specie di quelle più lunghe!
La dizione non è importante, secondo me: ciò che conta è che l'esposizione non sia omogenea (ulteriore rischio che si corre leggendo l'omelia) ma, al contrario, sia inframezzata da brevi pause che consentano di assimilare il concetto appena espresso (in questo è maestro don Mario!). Ho trovato molto utile la predica di oggi (mercoledì delle ceneri) perchè hai esposto pochi concetti, chiari, indicando gli impegni che dovremmo prenderci durante la quaresima!

ciao!

 
Alle 19 febbraio 2010 alle ore 07:34 , Anonymous Anonimo ha detto...

grazie dei consigli...
ne farò prezioso tesoro, soprattutto in riferimento all'omelia letta.
ciao

 

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