18 maggio 2015

omogenitorialità

Ieri sera ho partecipato ad una riunione scout del clan (età 17-22) che è servita come verifica a tutta una attività sulla questione dell'omogenitorialità, alla quale io avevo partecipato come "avvocato difensore della chiesa cattolica"... (sic!) Ebbene sono rimasto colpito da quanto fossero a favore della genitorialità per le coppie omosessuali (o "arcobaleno" secondo il politically correct di adesso), fino all'inseminazione artificiale. Qualche distinguo c'erano (una contraria all'inseminazione ma non all'adozione, qualcun altro dubbioso) ma c'era anche chi sarebbe partito il giorno dopo per una manifestazione in piazza a favore.
Nelle loro espressioni e nelle loro perorazioni, però, mi sono riconosciuto quando alla loro età  mi schieravo a favore della nonviolenza e della pace. Sono cambiati i temi ma tutto come prima. Però poi mi sono trovato a pensare: e com'è che ora mi viene da dire che stanno sbagliando posizioni e battaglie? Non è che c'è qualcosa che sfugge a noi?
Una risposta l'ho trovata questa mattina quando leggendo su Il Regno il solito articolo sulla nuova chiesa di papa Francesco ho trovato un commento del teologo Kurt Appel che diceva testualmente così, commentando la famosa battuta sull'omosessualità "Chi sono io per giudicare il mio fratello": "questo naturalmente non significa che il papa si sia staccato dall'ethos ecclesiale, dal magistero o addirittura dal Vangelo. E' stata solo una ammissione di fragilità e della complessità delle situazioni di vita, rispetto alle quali sia la nostra società sia la Chiesa devono imparare ad accettare una domanda in più e una risposta in meno per rimanere credibili. Questo vale allo stesso modo per la sessualità, dove le incertezze e le incoerenze del nostro sistema simbolico culturale e individuale trovano particolare espressione"
Perfetto, è questo il punto. Non è il fatto di dichiararsi pro o contro. E' il fatto di farlo solo dopo che hai conosciuto persone concrete che vivono l'identità sessuale come sofferenza e non vengono capite da altri, neanche da chi si dichiara seguace di Gesù. E questo a monte di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato "in sé". Da questo punto di vista chi urla per un presunto diritto di tutti è sullo stesso piano di chi condanna in nome di principi: tutti e due non riconoscono la sofferenza di una determinata condizione. E infatti i giovani ieri sera richiedevano molto il conoscere personalmente situazioni simili concrete più che sentire esperti. Solo che nella loro perdonabile semplificazione giovane trasformavano questo in una battaglia contro il sistema costruito dagli adulti, così come noi facevamo rispetto ad altri temi.
Allora mi sono riconciliato con interiormente con loro e con me stesso.

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