23 settembre 2016

dimessi o depressi?

Ho sentito parecchi commenti sulle mancate olimpiadi a Roma e le ho messe insieme ai commenti sul trasferimento del salone del Libro da Torino e Milano. Poi ho condiviso le stesse reazioni quando più in piccolo qualcosa non va come dovrebbe (dalla gestione dell'oratorio al rapporto con le persone, dalle strettoie diocesane alle situazioni di alcuni più poveri). A volte è complicato trovare le soluzioni, a volte è complicato anche capire che strada prendere per trovare le soluzioni e ci sono ragioni e torti da tutte le parti.
Una certezza però fa da zoccolo duro, da punto d'appoggio che solleva il mondo: che quando subentra lo stato depressivo contornato da lamentazioni, da rimpianti dei bei tempi (che mai esistettero), dalla ricerca di situazioni ideali (e dunque non reali), da pessimismo allora si entra in un buco nero. Meglio gestire quello che sembra umiltà e condizione un po' dimessa per rivendicare un sano orgoglio su quanto siamo chiamati a fare. Il sano orgoglio può anche essere condito con rilanci in avanti, nuovi sogni e grinta, nella consapevolezza che se punti a 100 puoi arrivare a 10, ma se punti a 10 arrivi al massimo a 1.
Pretendere di più da se stessi e dagli altri può innescare un circolo virtuoso che rischia il fallimento, ma almeno non rischia la depressione.

"Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». (...) Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini»" (Lc 5,8.10)

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