02 luglio 2013

sacerdoti stranieri

Da qualche giorno c'è un sacerdote indiano da noi: si fermerà un mese e studia a Roma. Parlando con lui mi sono reso conto di una venatura tipicamente occidentale che ci trasciniamo dietro (noi sacerdoti astigiani). In genere si ironizza sempre sul fatto che i sacerdoti stranieri non abbiano tutto questo fervore nel lavorare, che abbiano i tempi più lenti e che selezionino le cose da fare. Tutto vero, tutto possibile (ho in mente qualcuno...). Il problema è che non puoi valutare una persona da quanto rende: questo la trasforma in forza-lavoro di marxiana memoria. In realtà Jesus era più radicale ancora dicendo di non giudicare proprio. Comunque sia il minimo sarebbe di stringere una amicizia o quantomeno un rapporto umano, poi eventualmente si può parlare di "attività da svolgere".
E se ci stessero comunicando che il fare pastorale è finalizzato a costruire relazioni e non viceversa?

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