19 luglio 2018

un tuffo nel passato

Ho provato a vedere il film "120 battiti al minuto" del 2017: un film che immaginavo cruento ma che non pensavo mi facesse tornare indietro di quasi 30 anni, quando agli inizi degli anni '90 era scoppiata l'epidemia di Aids e se ne dibatteva in mille modi diversi. Io ero un po' toccato dalla questione in quanto un mio parente morì di quello e, in seguito, io stessi per più anni (gli ultimi del seminario) ogni domenica pomeriggio prestai volontariato in una comunità per malati di Aids. E' stato veramente un tuffo in quelle emozioni passate e a fatica sono riuscito a terminare di vedere il film.
Ma quello che mi pare strabiliante è che molte posizioni erano simili a quelle che oggi si prendono sulle migrazioni, benchè il tema sia decisamente diverso. C'era chi strumentalizzava politicamente la questione, chi ci guadagnava sopra, chi emanava proclami pseudoreligiosi, chi cercava soluzioni tecnico-politiche asettiche. E intanto la gente moriva. C'era anche chi metteva di fronte il dato umano: un solo morto genera responsabilità, anche in parte sue. Allora l'Aids, oggi le migrazioni sono il terreno di gioco su cui si misura l'umanità di una società. E, come allora, anche adesso un solo morto è decisamente troppo.
Ma il tono di voce che non ti dà tregua è quello che nel film compare ad un certo punto e che mi ricordava i modi di fare di molte persone colpite anche indirettamente dalla malattia: non quello della denuncia e dell'urlo, ma quello della condivisione del dolore, della sofferenza e della paura di morire.

"Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!»." (Lc 7,12-13)




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