17 aprile 2011

pasqua dello sportivo

E' un titolo un po' ironico, che mi è suggerito dall'aver scoperto che una squadra dell'Unione Calcio San Domenico Savio parteciperà ad un torneo a Cairo Montenotte che si tiene (udite, udite...) sabato santo, domenica di Pasqua e Pasquetta. Non che ci sia da scandalizzarsi, ma da riflettere sì:
- la squadra di una società sportiva parrocchiale non può partecipare ad un torneo simile
- chi organizza il torneo naturalmente lo può fare, ma che tristezza obbligare le famiglie a scarrozzare i bambini a destra e sinistra in quei giorni in cui sarebbe più bello festeggiare a casa
- gli allenatori che si iscrivono al torneo: boh...
E poi battutaccia: facciamo le squadre di soli musulmani, atei dichiarati e altre religioni per partecipare a certi tornei..

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14 Commenti:

Alle 8 maggio 2011 alle ore 17:37 , Anonymous Anonimo ha detto...

Ironia della sorte é la stessa cosa che ho pensato io - e che con la mia solita vena polemica ho subito riferito agli allenatori!- per un torneo che era stato previsto per il venerdì e il sabato santi per un altro sport con una squadra di un'altra parrocchia cittadina. Ho comunicato questa mia perplessità ed ho detto che non avrei fatto partecipare mia figlia al torneo proprio perché in quei due giorni sarebbe stata impegnata con la parrocchia nelle celebrazioni della settimana Santa e mi sono sentita rispondere da un'allenatrice che "il torneo non impedisce di vivere questi momenti e la partecipazione ad un torneo nei giorni di venerdì e sabato non renda nè me, nè la società, nè tanto meno i ragazzi dei cristiani di serie B".
Senza contare il fatto che praticamente ogni domenica mattina ci sarebbe un torneo a cui partecipare...sì, certo, si può andare a messa il sabato...secondo me non é la stessa cosa e soprattutto non lo é per i bambini che impareranno a non santificare le feste.
E' la stessa cosa per l'apertura dei negozi sempre e comunque:sì per me che lavoro é comodo poter fare la spesa e comprare cosa mi serve quando voglio, ma so che chi lavora in quei negozi non é molto contento.

 
Alle 10 maggio 2011 alle ore 22:50 , Anonymous Anonimo ha detto...

Salve, sono un genitore di un ragazzino che milita in una delle squadre del San Domenico e, come tale, vorrei spendere una parola in favore della Società.
Innanzi tutto, dalla mia esperienza personale, prima di accettare la partecipazione ai tornei i mister hanno sempre interpellato la disponibilità dei genitori ad accompagnare i ragazzi, nulla è mai stato imposto, è evidente pertanto che in questo caso il numero di adesioni è stato tale da permettere l'iscrizione della squadra.
Se un genitore ritiene di precludere la partecipazione del proprio figlio al torneo per impegni vari o per protesta è liberissimo di farlo, come d'altro canto la Società e libera di aderire ugualmente con un giocatore in meno. A questo punto mi sembra siano state fatte delle libere scelte da entrambe le parti che vanno rispettate, e mi domando allora ...perchè proprio nel giorno di Pasqua viene puntato il dito cercando di punire chi ha fatto una scelta diversa dalla nostra? Siamo prorio convinti di aver fatto NOI la scelta giusta?
Se il problema consiste nella partecipazione alla Messa Pasquale, a questo problema è facile ovviare in quanto i tornei vengono tutti svolti in comuni nei quali sono presenti delle Chiese aperte a tutti e il tempo per assistere ad una messa nell'arco della giornata lo si trova benissimo.
Se invece il problema consiste nel rinunciare al pranzo con i parenti mi dispiace affermare che se i legami sono forti e autentici si manifestano tutti i giorni dell'anno e non solo la domenica di Pasqua.
Vorrei invitare il genitore amareggiato a leggere nella bacheca del San Domenico Calcio la mail affissa recante i ringraziamenti di un genitore il cui figlio ha giocato "in prestito" con la squadra del San Domenico nel torneo di Cairo Montenotte.
Cito solo l'ultima parte:

"......Un'emozione che viene da dentro, dal vedere dei ragazzi gratificati dai sacrifici fatti, con mille sogni e speranze nel cuore, da rincorrere come un pallone!!
Veramente complimenti a tutti, dai vostri ragazzi a Voi genitori , a tutta la Vostra società.
Siete forti, e non solo in campo !!!!...."

Quanto sopra vale più di 1000 parole.

Scusate per lo sfogo!!!!!!!!!

 
Alle 11 maggio 2011 alle ore 17:15 , Anonymous Anonimo ha detto...

Naturalmente il problema non è il pranzo con i parenti nei giorni di festa (mai fatti), ma proprio l'imparare a santificare il giorni di festa e con tutti i giorni disponibili lungo l'anno proprio nelle festività di Pasqua bisogna giocare?
Solo perché per la stragrande maggioranza Pasqua non è il giorno più importante dal punto di vista religioso, ma Natale:
avete mai chiesto ai vostri figli di giocare a Natale?
Credo che nessuno accetterebbe mai!
A questo proposito mi ricordo una delle scene finali del film "Momenti di Gloria" (che è tratto da una storia vera) quando l'atleta Eric Liddell, che divenne poi un missionario, rinunciò a gareggiare perché la gara era nel giorno dedicato al Signore:
la fede per lui era più forte di tutto, persino di una possibile medaglia olimpica.
Quando si abbraccia una fede si deve fare una scelta e la domenica e le feste sono dei giorni speciali.
Oggi la domenica non viene più santificata, anzi, è diventata il giorno più importante della settimana per gli acquisti. Vengono spesi più soldi la domenica che durante ogni altro giorno della settimana. Se ci si reca di domenica pomeriggio presso ogni centro commerciale, i parcheggi sono stracolmi.
La domenica è diventata un giorno di piacere e di ricreazione: la gente riempie la giornata con partite di calcio, sport, acquisti e picnic...e se questo non interferisce con le loro attività ricreative, ci può infilare anche un'oretta per la chiesa, per tranquillizzare la propria coscienza.
E' paragonabile anche alle feste in occasione della prima comunione (vedi lo sfarzo dei vestiti per i bambini e i pranzi sontuosi a cui si invita tutto il parentado) :
troppi credono che sia più importante della Cresima, che è il sacramento della confermazione che ci fa perfetti cristiani e soldati di Gesù Cristo, e quindi abbandonano la frequentazione del catechismo per poi fare dei corsi superconcentrati quando si rendono conto che, volendosi sposare in chiesa, ne hanno bisogno!
Comunque anch'io mi emoziono quando vedo la gratificazione negli occhi dei bambini che giocano dopo il duro allenamento di tutto l'anno, ma resto sempre della mia idea e sono disaccordo con il fissare le partite alla domenica e nei giorni di festa...evidentemente sono troppo integralista e oggi questo non è più di moda!

 
Alle 11 maggio 2011 alle ore 22:33 , Anonymous Anonimo ha detto...

Scusa la mia indiscrezione ma cosa intendi tu per santificare la domenica?
Dopo aver partecipato alla Santa Messa è forse peccato
dedicare il prorio tempo ai figli dopo una settimana di lavoro, di scuola, di impegni vari, gioire con loro per le vittorie e consolarli per le sconfitte?
Credimi anche seduti in una tribuna di uno stadio si può riconoscere Gesù negli occhi di un bambino che, esultando per una bella azione, cerca gli applausi dei genitori seduti in tribuna felice di essere in quel preciso istante il loro " campione".
Alla sera rientrando a casa ripensi alla giornata appena trascorsa, ai progressi di tuo figlio non nel rincorrere un pallone ma bensì al rispetto delle regole che gli sono state insegnate, regole valide nel calcio ma ancor di più nella vita e cioè il rispetto per gli avversari, l'educazione verso gli adulti e la collaborazione con i compagni.
Secondo me se apri il cuore è dai il giusto significato alle cose che fai incontri Gesù ovunque, nelle persone che la domenica lavorano o semplicemente si recano a fare la spesa.
Ti ringrazio e ringrazio Don Dino per aver dato la possibilità di effettuare questo scambio di idee.

 
Alle 12 maggio 2011 alle ore 12:09 , Anonymous Anonimo ha detto...

Ringrazio anch'io te per le tue risposte: inoltre non c'è mai stata così tanta attività su questo blog e sarebbe bello che finalmente qui iniziasse un dibattito!
Per me santificare la festa è andare a messa con la famiglia e mostrarmi capace di interrompere il tempo profano per ritagliarmi uno spazio di tempo sacro, cioè un tempo qualitativamente «diverso» da quello ordinario, un tempo «altro», quasi una sospensione del tempo.
Il tempo normale, quello durante la settimana lavorativa, è fatto non solo di lavoro e di preoccupazioni mondane, ma anche di una diffusa disarmonia, derivante dalla necessità di adattare l'ideale al reale, di calare l'aspirazione all'assoluto nella dimensione del contingente e del finito: è il tempo del compromesso per eccellenza.
Siamo immersi nel quotidiano è costretti ad un «ragionevole» compromesso, ad una sostanziale mediazione tra le due opposte facce della nostra natura.
Siamo costretti a lasciarci guidare da forze ed esigenze che non rendono giustizia alla nostra dimensione spirituale, ad essere cauti, diffidenti, sospettosi, calcolatori, a non fidarci mai interamente degli altri (e sovente, nemmeno di noi stessi!), a trattenere i nostri impulsi più generosi, più altruisti, per non vederci travolti da situazioni che ci priverebbero anche del necessario, sia in senso materiale che in senso affettivo ed esistenziale.
Per sei giorni la settimana noi viviamo in una condizione innaturale, tenendo bene a freno i nostri sentimenti migliori e giocando prudentemente al risparmio, per evitare accuratamente di scoprirci troppo e di esporci ai colpi della vita. Nel nostro prossimo vediamo soprattutto un possibile rivale, se non, addirittura, un nemico che bisogna colpire per primo, per non esserne, a propria volta, sorpresi.
Il lavoro medesimo, che pure è un valore fondamentale, finisce per sottomettersi alla logica del sospetto e della diffidenza e diviene strumento di alienazione, di avidità, di egoismo, di sopraffazione, per accumulare beni che dovrebbero, in teoria, garantire un'esistenza sicura e tranquilla, ma che, inconsciamente, si vorrebbe che svolgessero l'impossibile funzione di esorcizzare l'angoscia della morte.
Ecco perché credo che una persona, per liberarsi nella sua vita quotidiana di queste paure eccessive, di queste forme di attaccamento compulsivo alle cose, abbia la necessità di santificare un giorno speciale della settimana: per santificare se stessi e ricordarsi della propria natura trascendente e dare la precedenza allo spirituale sul materiale, all'anima sul corpo, alla contemplazione estatica rispetto all'azione interessata.
Tutto questo perché i momenti di santificazione all'interno dei sei giorni lavorativi ormai sono spariti e la domenica, appiattendola sulla misura e sui ritmi di un tempo profano, diventa semplicemente tempo lavorativo, tempo della trasgressione, della smodatezza e dell'eccesso, e costituisce un reale pericolo per la preservazione della nostra anima.
Santificare il giorno del Signore per me non significa quindi soltanto espletare la partecipazione alla liturgia festiva, ma anche - in un senso più ampio che può comprendere anche quelle persone che, pur non essendo praticanti di alcuna religione, possiedono però un animo religioso - ricordare a se stessi il senso del proprio limite, ridimensionando le preoccupazioni per le cose quotidiane e rimettendo al centro della prospettiva esistenziale il mistero della propria destinazione ultima.Riposo può essere anche ristabilire un contatto con la natura, rimettersi in armonia col creato.
Ripeto: a me piace vedere la gioia negli occhi dei bimbi, consolarli per le sconfitte o cercare in loro Gesù, ma vorrei poterlo fare durante la settimana e non solo e sempre la domenica.
Scusate la lunghezza del post!

 
Alle 12 maggio 2011 alle ore 20:44 , Anonymous don dino ha detto...

accidenti non pensavo di scatenare questo dibattito!
scusate devo precisare una cosa prima di andare avanti.
Il mio post iniziale era molto duro. E' andata così. L'ho buttato giù di getto, dato che ero particolarmente arrabbiato e poi ho detto: ora lo smusso, come si fa da buon giornalista. Solo che c'è stato il problema sul sito che è durato fino a poco fa e il post è stato in bozza. Quando ho fatto ripartire il tutto, il blog è stato pubblicato quasi inavvertitamente. Mi sono detto: ora lo modifico. E non l'ho fatto subito. E così sono passati 3 giorni. E via...
Non sarei stato così duro...
In quanto alla sostanza:
- il giorno del matrimonio di qualcuno in famiglia, anche se c'è un torneo da qualunque parte, non vi si partecipa perchè c'è qualcosa di più grande e di più importante
- se qualcuno volesse a tutti i costi parteciparvi, si direbbe che è una testa matta o che non capisce l'importanza di quel matrimonio per tutta la famiglia. Nella peggiore delle ipotesi si dice che è un ingrato.
- Così mi sono trovato io a ragionare: Pasqua è il cuore di tutto, se non ci fosse stata, non saremmo neanche esistiti come cristiani. Se la si tratta come una domenica qualunque allora c'è qualcosa che non funziona:
a) si è perso il senso della fede pasquale
b) oppure siamo noi che pretendiamo troppo: ormai la chiesa è fatta a livelli diversi di partecipazione e non si può pretendere da tutti le stesse cose: giustamente è già bella cosa i ragionamenti sopra sullo stare insieme in famiglia e sul valore per i ragazzi dello sport

Comunque Pasqua non è una domenica qualunque: come si debba santificare non lo so neanch'io, forse qualunque cosa si faccia è inadeguata per essere all'altezza di cosa Dio ha fatto per l'umanità...

 
Alle 13 maggio 2011 alle ore 19:35 , Anonymous Anonimo ha detto...

accidenti
non sapevo di avera scatenato sto dibattito. In realtà il mio post era stato molto duro ma bisogna spiegare le circostanze:
1) scrivo il post un po' incavolato dopo aver saputo della cosa
2) decido di non pubblicarlo, di aspettare il giorno dopo per smussarlo nei toni (come farebbe un buon giornalista...)
3) scopro che ci sono problemi sul blog, che non riesce più ad aggiornare. La bozza resta nella versione originaria
4) dopo 3 settimane si sistema il guasto e pubblico automaticamente il post, dimenticandomi che avevo deciso di smussarlo
5) mi ricordo che andava smussato: non lo faccio subito. Lo farò domani, tanto la questione è ormai passata
6) non lo faccio nè domani, nè dopodomani e intanto escono i commenti
7) la mezza frittata è fatta...

Nel merito avrei voluto smussarlo così:
- se ci fosse un matrimonio in famiglia e qualcuno preferisse portare il figlio a fare un torneo, cosa direste?
- probabilmente Pasqua è diventata una qualunque domenica, non si sa per colpa di chi. C'è anche il proverbio "Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi...". Perciò non si possono neanche demonizzare quelli che celebrano la Pasqua con un bel campionato di calcio: è vero tutto quello che c'è scritto sopra sul valore dell'andare come famiglia, del bambino che impara le regole, ecc.
- ma dato che Pasqua è il cuore della fede forse il coltivare il senso di stupore e di riconoscenza per un Dio che ha fatto così tanto per noi può lasciar spazio a qualcos'altro che il semplice andare a messa per assolvere un precetto (assomiglia al "dover coniugale del rapporto sessuale"...)
- poichè la questione è venuta fuori perchè un genitore ha telefonato in parrocchia protestando per questa decisione di partecipare al campionato a Pasqua, forse qualcuno qualche domanda se la pone
- la risposta giusta non si sa quale sia: magari la si può cercare insieme...

 
Alle 14 maggio 2011 alle ore 10:19 , Anonymous Anonimo ha detto...

Mi spiace rispondere solo ora, ma il blog aveva pubblicato la mia risposta e poi se l'é mangiata!Allora, ora che sembra che funzioni, ci riprovo e rispondo alla domanda "cosa intendi tu per santificare la domenica?"
Per me santificare la festa è andare a messa con la famiglia e mostrarmi capace di interrompere il tempo profano per ritagliarmi uno spazio di tempo sacro, cioè un tempo qualitativamente «diverso» da quello ordinario, un tempo «altro», quasi una sospensione del tempo.
Il tempo normale, quello durante la settimana lavorativa, è fatto non solo di lavoro e di preoccupazioni mondane, ma anche di una diffusa disarmonia, derivante dalla necessità di adattare l'ideale al reale, di calare l'aspirazione all'assoluto nella dimensione del contingente e del finito: è il tempo del compromesso per eccellenza.
Siamo immersi nel quotidiano è costretti ad un «ragionevole» compromesso, ad una sostanziale mediazione tra le due opposte facce della nostra natura.
Siamo costretti a lasciarci guidare da forze ed esigenze che non rendono giustizia alla nostra dimensione spirituale, ad essere cauti, diffidenti, sospettosi, calcolatori, a non fidarci mai interamente degli altri (e sovente, nemmeno di noi stessi!), a trattenere i nostri impulsi più generosi, più altruisti, per non vederci travolti da situazioni che ci priverebbero anche del necessario, sia in senso materiale che in senso affettivo ed esistenziale.
Per sei giorni la settimana noi viviamo in una condizione innaturale, tenendo bene a freno i nostri sentimenti migliori e giocando prudentemente al risparmio, per evitare accuratamente di scoprirci troppo e di esporci ai colpi della vita. Nel nostro prossimo vediamo soprattutto un possibile rivale, se non, addirittura, un nemico che bisogna colpire per primo, per non esserne, a propria volta, sorpresi.
Il lavoro medesimo, che pure è un valore fondamentale, finisce per soggiacere alla logica del sospetto e della diffidenza e diviene strumento di alienazione, di avidità, di egoismo, di sopraffazione, per accumulare beni che dovrebbero, in teoria, garantire un'esistenza sicura e tranquilla, ma che, inconsciamente, si vorrebbe che svolgessero l'impossibile funzione di esorcizzare l'angoscia della morte.
Ecco perché credo che una persona, per liberarsi nella sua vita quotidiana di queste paure eccessive, di queste forme di attaccamento compulsivo alle cose, abbia la necessità di santificare un giorno speciale della settimana: per santificare se stessi e ricordarsi della propria natura trascendente e dare la precedenza allo spirituale sul materiale, all'anima sul corpo, alla contemplazione estatica rispetto all'azione interessata.
Tutto questo perché i momenti di santificazione all'interno dei sei giorni lavorativi ormai sono spariti e la domenica, appiattendola sulla misura e sui ritmi di un tempo profano, diventa semplicemente tempo lavorativo, tempo della trasgressione, della smodatezza e dell'eccesso, e costituisce un reale pericolo per la preservazione della nostra anima.
Santificare il giorno del Signore per me non significa quindi soltanto espletare la partecipazione alla liturgia festiva, ma anche - in un senso più ampio che può comprendere anche quelle persone che, pur non essendo praticanti di alcuna religione, possiedono però un animo religioso - ricordare a se stessi il senso del proprio limite, ridimensionando le preoccupazioni per le cose quotidiane e rimettendo al centro della prospettiva esistenziale il mistero della propria destinazione ultima. Il "riposo" della domenica, che non intendo come "rilassamento e pigrizia", lo si può santificare anche con un ritorno alla natura, teso a ristabilire uno stato d'armonia con questa.
Ripeto: a me piace vedere la gioia negli occhi dei bimbi o consolarli per le sconfitte o cercare in loro Gesù, ma vorrei poterlo fare sempre durante la settimana e non solo la domenica.
Scusate la lunghezza!

 
Alle 14 maggio 2011 alle ore 18:20 , Anonymous Anonimo ha detto...

In merito al "dovere coniugale del rapporto sessuale" nel matrimonio (citato come esempio di precetto nel post di don Dino) bisognerebbe fare uno spin off e dedicarci un post tutto suo!
Ammetto che io non mi confesso molto frequentemente, ma durante una delle ultime occasioni il sacerdote, evidentemente non soddisfatto della mia confessione, mi ha chiesto -testuale- se assolvevo con dovizia ai miei doveri coniugali, proprio nel senso di rapporti sessuali:
non so se é compito dei sacerdoti indagare nell'intimo in questo modo o se era una sua semplice curiosità, ma mi sono cadute letteralmente le braccia!
Credo che il dovere coniugale debba essere un concetto più ampio della sola sfera sessuale, che debba comprendere la collaborazione allo svilippo e alla crescita dei figli, l'assistenza morale e materiale.
Naturamente la volta successiva che mi sono accostata alla confessione ho cambiato sacerdote e mi sono trovata decisamente meglio!

 
Alle 15 maggio 2011 alle ore 14:47 , Anonymous don dino ha detto...

urca, pensa te che ci sono anche di questi sacerdoti residuati bellici... spero che non avesse meno di 60 anni...

 
Alle 17 maggio 2011 alle ore 11:40 , Anonymous Anonimo ha detto...

probabilmente ne aveva di più (o li portava malissimo!), ma può essere una giustificazione? mah?
forse è stata solo mancanza di sensibilità o esiste qualche indicazione o norma canonica specifica in merito?

 
Alle 17 maggio 2011 alle ore 14:52 , Anonymous don dino ha detto...

nella dottrina tradizionale rientrava tra i doveri coniugali ed era della donna rispetto all'uomo (che non doveva essere restia più di tanto: l'uomo in genere lo è di meno...). Con la nuova sensibilità affettiva e psicologica la cosa è decisamente diversa: riduttivo chiamarlo "dovere"...

 
Alle 17 maggio 2011 alle ore 15:12 , Anonymous Anonimo ha detto...

no, non intendevo le indicazioni sui "doveri coniugali"(tipicamente maschilista il fatto che la donna deve essere sempre pronta, disponibile, accettare qualsiasi cosa e zitta e muta, ma non mi stupisco), ma sulle eventuali norme di cosa il confessore chiede al confessando!!

 
Alle 22 maggio 2011 alle ore 16:52 , Anonymous don dino ha detto...

no, non ci sono norme specifiche. Il tutto rientra nella saggezza del confessore, che al max può fare qualche domanda per mettere a proprio agio la persona oppure quando ritiene che ci siano comportamenti non più considerati negativi. Per es. confessando i bambini io chiedo sempre se pregano o se vanno a messa alla domenica, perchè altrimenti loro non solo non ne parlerebbero, ma non si rendono conto che è serio se non pregano mai e non vanno mai a messa... Al max dico loro di sgridare i loro genitori se non li portano, tipo "ti sgridano se tu non obbedisci ed hanno ragione, tu sgridali se non ti portano mai in chiesa perchè fanno male loro..."

 

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