10 agosto 2017

il bimbo profugo

Questa mattina ho dovuto accompagnare il figlioletto di quattro anni della famiglia nigeriana che è ospitata in parrocchia per le ultime vaccinazioni e al momento cruciale è stata una serie di urli disumani, nonostante la presenza del padre. Niente di strano, se non che ho provato ad immaginarmi che cosa può aver evocato in lui quella situazione. Il medico lo teneva fermo e senza esitazioni bucava il braccio, il padre doveva essergli sembrato connivente, visto che dopo si è arrabbiato con lui prendendolo a pugni... Calcolando che i primi anni di vita saranno stati un po' tumultuosi e non certo sereni, anche una piccola cosa come una vaccinazione deve essere per lui una sfida assoluta.
Nella riflessione sulle migrazioni di massa e sui profughi un capitolo a parte è quello dei bambini e di ciò che essi devono subire. Per loro non conta distinguere se sono migranti economici o profughi politici, esattamente come per un bambino occidentale non conta distinguere se è figlio di una famiglia a posto oppure di una famiglia disgraziata: è un bambino e basta.

"Disse ai suoi discepoli: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli." (Lc 17,1-2)

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