Troppa norma
In questi giorni di semireclusione ho concluso un libro di Oliver Roy (sociologo e politologo francese) che ha un titolo emblematico: "L'appiattimento del mondo. La crisi della cultura e il dominio della norma" . La sua tesi è che il venir meno della cultura condivisa (non solo intesa come quella che si studia, ma anche quella che si vive, fatta di modi di fare e di dire, usi e tradizioni) fa venir meno una serie di sicurezze che ci derivano dal condividere la stessa cultura. Per esempio se io urto per sbaglio una persona, mi viene spontaneo chiedere scusa e lei accettare le scuse, senza fare tante parole. Di conseguenza aumenta la richiesta e la tendenza a mettere norme e regole su qualunque cosa. Una tesi complessa da seguire ma che mi piaceva perchè ho sempre pensato che quando si regolamenta tutto si diseduca alla coscienza e al confronto con gli altri, tanto basta seguire le regole. Non solo: la cultura è sostituita dall'economia neoliberale che ci trasforma tutti in individui consumatori, incapaci di visioni a lungo termine e di ideali per il futuro, tutti presi dalla difesa dei propri interessi e dei propri diritti, comprese tutte le minoranze di ogni genere, che parlano di diritti ma che non riescono a sopportare che qualcuno la pensi diversamente.
Alla fine il libro parlava di crisi dell'umanesimo e qui c'è uno spazio enorme per la riproposizione del Vangelo nella società secolarizzata: una parola che ancora sa tracciare le linee di cosa è umano e di cosa non lo è e che parla non a minoranze e gruppuscoli, ma al mondo.
"La tendenza descritta riguarda tutti gli ambiti, tanto che attività e funzioni sociali un tempo naturalmente gratuite diventano pagamento (l'autostop è rimpiazzato da BlaBlaCar, il confidente del terapeuta" (p. 164).
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