20 dicembre 2016

dolore come genere letterario

Ci sono stati strascichi circa il funerale del coetaneo. Essendo assente avevo scritto due righe di saluto, lette pubblicamente, in cui dicevo che a volte era un rompiscatole (lo era veramente...) anche se aveva una grande bontà d'animo. Poi sono venuto a sapere che la madre non capiva perchè avessi detto così e qualcuno mi ha detto che dovevo stare attento a non offendere i sentimenti altrui: meglio non dire nulla. Dato che non ero affatto convinto e avevo una mia teoria, oggi sono andato di persona a casa: la madre era ancora molto sofferente, ma come avevo immaginato il suo dolore era "secondo il genere letterario del dolore in meridione (e anche altrove)", cioè molto teatralizzato. Il che non vuol dire falso, anzi. Solo che il lamento (anche su di me) fa parte del genere e non va preso alla lettera.
Infatti non solo mi ha accolto, ma con me ha cambiato poco alla volta lo stile, tornando quella che era: una donna-madre che ha perso un figlio improvvisamente. Quando è però arrivata la vicina, allora ha ripreso il genere "dolore assolutamente inconsolabile".
L'espressione del dolore fa parte della cultura in cui uno è cresciuto. Bisogna saperlo, altrimenti è come se uno leggesse i racconti della creazione come se descrivessero cosa effettivamente è successo.

"Guarda, Signore, quanto sono in angoscia;
le mie viscere si agitano,
dentro di me è sconvolto il mio cuore,
poiché sono stata veramente ribelle.
Di fuori la spada mi priva dei figli,
dentro c'è la morte" (Lam 1,20)

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