18 dicembre 2016

ma il perdono non è un atto di debolezza

Paolo De Benedetti
Ho letto l'editoriale del giornale diocesano in occasione della morte di Paolo De Benedetti, docente di giudaismo, di origine ebraica, battezzato. Tra le diverse scaramucce tra questioni teologiche emerge l'annosa questione della responsabilità delle autorità ebraiche per la morte di Gesù. Qui l'autore dell'editoriale invoca un chiarimento e usa questa espressione: "Una chiarimento ci vuole, se non un vero e proprio pentimento da parte ebraica con il percuotersi il petto, come del resto ha fatto ufficialmente  e giustamente la chiesa cattolica per l'incomprensione e le vere e proprie persecuzioni antigiudaiche nella storia". Cosa c'è che stona in  questa frase? L'idea che come la chiesa cattolica si è pentita e per bocca di Giovanni Paolo II si è ufficialmente scusata, così si spera facciano anche gli ebrei. Ma il pentimento non è un cedimento o un atto di debolezza e dunque non lo si deve chiedere agli altri, visto che noi l'abbiamo già fatto... Il pentimento è una forza, che può solo fare chi ha il coraggio della verità. Il gesto di GPII non è ancora stato compreso da molti, specie se autorità o teologi: il porgere l'altra guancia è la forza per non scendere a livello di inutili recriminazioni o ripicche reciproche. Perciò quand'anche gli ebrei non riconoscessero mai una responsabilità nella morte di Gesù, noi si vivrebbe lo stesso e si dialogherebbe con loro lo stesso. In quel caso, magari, qualche domanda arriveranno a farsela.

"A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra" (Lc 6,29)

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