
Ieri ho partecipato ad Oropa all'incontro dei direttori dei giornali diocesani con i vescovi piemontesi e così mi sono tuffato a pesce nel nuovo incarico. Erano undici anni che non frequentavo l'ambiente e ho risentito alcune questioni che probabilmente si risolveranno solo alla fine dei tempi. La principale: ma un giornale diocesano deve essere specchio del territorio, approfondimento culturale o espressione di fede? Se è solo il primo allora è un semplice notiziario che ha di cristiano solo l'editore, se è solo il secondo allora è un trattato di argomenti senza attinenza pratica, se è solo il terzo allora è mera esortazione e predica. Tutti e tre insieme e diventa un indigesto panino superfarcito. C'è una via di uscita, ma è sul filo del rasoio e cerca di ovviare a quella che l'arcivescovo di Torino Nosiglia ieri ha richiamato citando s. Paolo VI: la separazione drammatica tra fede e cultura contemporanea. La via di uscita sta nel partire dalla cronaca locale per farne occasione di approfondimento culturale e non solo cronaca per poi mostrare, attraverso testimonianze di fede, come la storia diventa storia di salvezza. Vedremo se si riuscirà...
"Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. " (Es 3,7-8)
Come si potrebbe rendere notiziabile un fatto del genere? Etichette: giornalismo, informazione
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