01 marzo 2020

le chiese non sono luna park

Alla fine dopo un sabato di fibrillazione è arrivato il via alle celebrazioni di questa mattina. Subito dopo la precisazione, rivolta alle chiese e ai luna park, di garantire il contingentamento in modo che le persone non distino meno di un metro una dall'altra e si evitino assembramenti. Una farsa. sa di quei provvedimenti per sgravarsi la coscienza e attribuire la responsabilità ad altri.
Ma a questo punto interviene la riflessione di Andrea Riccardi sulla stampa di venerdì, di cui riporto uno stralcio e che ho usato anche nell'omelia di questa mattina.
La chiusura di tante chiese nel Nord Italia, la sospensione delle messe, i funerali solo con i familiari e misure del genere mi hanno lasciato una certa amarezza. Non sono un epidemiologo, ma ci troviamo davvero di fronte a rischi così grandi da rinunciare alla nostra vita religiosa comunitaria? La prudenza serve, ma forse ci siamo fatti prendere la mano dalla grande protagonista del tempo: la “paura”. Peraltro negozi, supermercati e bar (in parte) sono aperti, mentre bus e metro funzionano. E giustamente. Le chiese invece sono state quasi equiparate a teatri e cinema (obbligati alla chiusura). Possono restare aperte, ma senza preghiera comune. Che pericolo sono le messe feriali, cui partecipa un pugno di persone, sparse sui banchi in edifici di grande cubatura? Meno che un bar o la metro o un supermercato. Solo in Emilia sono state permesse le messe feriali. 
Un forte segnale di paura. Ma anche l’espressione dell’appiattimento della Chiesa sulle istituzioni civili. Le chiese non sono solo “assembramento” a rischio, ma anche un luogo dello spirito: una risorsa in tempi difficili, che suscita speranza, consola e ricorda che non ci si salva da soli. Non voglio rammentare Carlo Borromeo, nel 1576-77, il tempo della peste a Milano (epidemia ben più grave del coronavirus e combattuta allora a mani nude): questi visitava i malati, pregava con il popolo e fece scalzo una folta processione per la fine del flagello. Di certo la preghiera comune in chiesa alimenta speranza e solidarietà. Si sa come motivazioni, forti e spirituali, aiutino a resistere alla malattia: è esperienza comune.
Il sociologo americano Rodney Stark, scrivendo sull’ascesa del cristianesimo nei primi secoli, nota come fu decisivo il comportamento dei cristiani nelle epidemie: questi non fuggivano come i pagani fuori dalle città e non sfuggivano agli altri, ma, motivati dalla fede, si visitavano e sostenevano, pregavano insieme, seppellivano i morti. Tanto che il loro tasso di sopravvivenza fu più alto dei pagani per l’assistenza coscienziosa, pur senza medicamenti, e per il legame comunitario e sociale. I tempi cambiano, ma le recenti misure sul coronavirus sembrano banalizzare lo spazio della Chiesa, rivelando la mentalità dei governanti.

"Ah! come sta solitaria
la città un tempo ricca di popolo!
E' divenuta come una vedova,
la grande fra le nazioni;
un tempo signora tra le province
è sottoposta a tributo." (Lam 1,1)

Etichette: ,

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page