03 febbraio 2013

giornata della vita

Avendo avuto a che fare occasionalmente con alcuni bimbi piccoli questa settimana e avendo visto pezzi di trasmissione su come si sviluppa il feto e su come si generano i diversi organi e tessuti a partire dalle cellule staminali, mi sono trovato a pensare all'orrore dell'aborto. Non che non ci avessi mai pensato, ma soprattutto la trasmissione mi ha fatto meravigliare: da una parte lo splendore dell'organismo umano, dall'altra la bellezza della scienza che scopre di volta in volta questo splendore. Questo getta un'ombra cupa sul modo con cui certi trattano l'aborto (come se fosse un semplice intervento di appendicite) ma anche su coloro che decidono di abortire. Quale stato d'animo ci deve essere in un gesto del genere...

3 Commenti:

Alle 5 febbraio 2013 alle ore 10:22 , Anonymous Anonimo ha detto...

Qualcuno, non potendo più negare che, per tante donne, l’aborto (e soprattutto il post aborto) si rivela un dolore lancinante, sostiene che se una donna abortisce è perché il bambino proprio non lo voleva, ovvero se abortisce ‘convinta’, allora non avrà problemi dopo. Per loro, quindi, le sofferenze post-aborto esistono sì, ma solo per quelle poverette che non erano poi tanto convinte.
Insomma, potevano pensarci meglio prima, no?
Ma non è così.
Anche la donna più convinta può soffrire terribilmente dopo. Nessuna donna può prevedere cosa succederà dopo, quando il figlio non ci sarà più, e quell’immenso vuoto sarà riempito da un’unica, lancinante certezza: mio figlio non c’è perché l’ho fatto fuori io.
Certo che si pensa che ci si dovrebbe arrivare da sole, ma non tutte ne hanno le capacità e bisognerebbe che ci fosse qualcuno che spiegasse queste cose prima: le donne hanno il diritto di essere informate, anche se si pensa che il diritto all'aborto sia stato una conquista.
Purtroppo oggi l’aborto è culturalmente svuotato del suo reale significato di morte (del bambino) e di perdita (per la madre) e si dimentica che ogni perdita prevede un lutto e si nega a chi affronta l’esperienza dell’aborto la possibilità di lutto (non si piange e non si soffre su ciò che si è scelto volontariamente), rendendo l’aborto una morte senza lutto, una morte senza dolore, e quindi, per assurdo, una morte neutra o addirittura spensierata (è stato meglio così).
L’interruzione di gravidanza condiziona il benessere sia fisico che psichico della donna, sia a breve che a lungo termine (molte donne conservano la ferita aperta dell’aborto per molti anni e soffrono intensamente anche dopo decenni) e come tutti i lutti richiede una notevole capacità di adattamento a di adeguamento alla nuova realtà: le conseguenze dell’aborto sul piano psicologico e sulla successiva qualità della vita non sono mai trascurabili.
Si tende a pensare che chi sceglie di abortire abbia una consapevolezza tale da non provare sentimenti luttuosi e si fatica a comprendere che questa scelta, pur essendo “razionalmente” volontaria, è comunque emotivamente sofferta e può essere vissuta come scelta “indesiderabile”
Molte donne manifestano i sintomi tipici del lutto come confusione, prostrazione, colpa, rabbia, vuoto e riportano elevati livelli di sofferenza. Tuttavia nella maggior parte dei casi questa sofferenza resta inespressa, perché le donne non si sentono degne e libere di soffrire, per un dolore oggetto di così tante attribuzioni di significato da essere snaturato nella sua essenza luttuosa.
Il lutto dell’aborto, ancora più degli altri lutti, viene spesso vissuto in sordina, senza cercare o ricevere appoggio esterno: il giudizio così fortemente legato all’atto incute timore laddove dovrebbe esserci ricerca di supporto e risorse e può rallentare di mesi o anni la risoluzione del lutto. Molte donne isolano il loro lutto a livello inconscio, prendendone le distanze e negando l’effettiva portata della loro sofferenza, allo scopo di auto-curare quel dolore che non sembra condivisibile.
Di norma le donne non riescono a esprimere liberamente la loro sofferenza ed i loro pensieri relativi alla perdita e quando provano a farlo non sempre trovano interlocutori adeguati: si chiede alle donne di non pensarci, dicendo che verranno altri figli in momenti più opportuni, che lo fanno tutti e non è la fine del mondo. In molti casi le altre persone non riescono a vedere un lutto in un evento programmato volontariamente, e assumono un atteggiamento critico: “potevi pensarci prima”, “ormai è andata”, “pensa alle donne che lo perdono spontaneamente” e così dicendo.
...continua...

 
Alle 5 febbraio 2013 alle ore 10:23 , Anonymous Anonimo ha detto...

...continua da prima...

L'aborto è un'esperienza terribile e lo dico perché, purtroppo, l'ho vissuta.
Io riuscii a rimanere di nuovo incinta dopo qualche anno dalla mia prima gravidanza, ma ebbi un aborto spontaneo al 3° mese: i dottori mi dissero che erano cose che capitavano molto spesso andando avanti con l'età ed io avevo appena compiuto 40 anni.
Quando se ne accorsero, durante la prima ecografia di routine, mi dissero che dovevo essere sottoposta ad una "revisione", come simpaticamente chiamano in ospedale l'intervento, neanche fossi una macchina!
Il giorno in cui venni ricoverata all'ospedale (era il venerdì santo di quell'anno) c'era la fila, e non per fare la revisione come me, ma per abortire spontaneamente: tra le donne in attesa c'erano anche due ragazzine.
Il brutto per me è stato che, nei vari passaggi che ho dovuto subire, alla fine avevano scritto sulla mia cartella di dimissioni che io avevo subito un'interruzione volontaria di gravidanza (IVG).
Quando lo lessi scrissi subito all'ufficio reclami dell'ospedale, che fece rettificare il foglio dal primario e mi telefonarono scusandosi e dicendomi che, data la quantità di donne che erano in lista, quello era un errore del computer! Errore del computer? Ma dai, son mica nata ieri?!
E anche nei colloqui con l'infermiera e la psicologa, prima che io venissi sottoposta all'intervento, non l'avevano capito perché io ero lì, perché nessuno aveva scritto che io avevo in corso un aborto spontaneo e non ero lì per una interruzione volontaria e hanno cercato di convincermi a non abortire: ma se avessi potuto tenere il mio bambino l'avrei fatto, che credevano?

Bisogna davvero continuare a battersi e proclamare ad ogni costo la priorità ed il diritto alla vita, ma bisognerebbe cercare di aiutare le donne, perché spesso sono costrette a farlo perché non hanno avuto l'aiuto necessario da chi sta loro vicino o non c'è stato nessuno che ha fatto capire loro che dono sia creare la vita, e aiutarle non solo prima, ma soprattutto dopo che lo subiscono e non abbandonarle a se stesse.

 
Alle 6 febbraio 2013 alle ore 07:29 , Anonymous dino ha detto...

Testimonianza veramente diretta... E' che nel dibattito sull'aborto i toni di scontro si sono caricati quasi di odio reciproco (vedi adesso negli Stati Uniti) per cui coloro che non sono parte in causa a volte non riescono a prendere posizione serenamente

 

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