10 marzo 2018

espressione di dolore

Ieri sono passato a casa di una signora che aveva appena perso il figlio morto a 41 anni. C'era un sacco di gente in casa intorno alla bara, sembrava l'episodio di Marta e Maria alla morte del fratello Lazzaro con la gente che veniva a consolarle. La madre continuava a lamentarsi ad alta voce, quasi ad urlare, anche se, probabilmente, avendolo fatto per lungo tempo, aveva solo un filo di voce. Poichè la conoscevo, ho provato a parlarle tranquillamente, senza inflessioni di commiserazione o di condoglianza. Lei cambiava per un attimo atteggiamento, tornando normale, per poi riprendere il lamento. Avevi l'impressione che fingesse ad essere così disperata, quasi per aumentare il proprio dolore, se non fosse che sopravvivere al proprio figlio è una cosa assolutamente innaturale.
Mentre me ne venivo via mi dicevo che il dolore non è uno stato d'animo al fianco di altri stati d'animo: è una porta che apre ad altro. Per questo fa paura: non sai cosa c'è di là e capisci che non puoi più stare di qua. Perciò ogni cultura e ogni persona reagiscono in modo diverso e nessuno può discuterne il senso.

"Così, al posto del cibo entra il mio gemito,
e i miei ruggiti sgorgano come acqua,
perché ciò che temo mi accade
e quel che mi spaventa mi raggiunge" (Gb 3,24.25)

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