11 marzo 2020

l'inganno degli algoritmi

Sempre dedicandomi alla lettura di Vita e Pensiero (ultimo numero del 2019), ho visto due articoli che avevano qualcosa in comune, anche se a prima vista non sembrava. Uno, scritto dal giurista francese Antoine Garapon, parlava della tentazione di usare gli algoritmi anche nella giustizia: invece di mettere un generico limite massimo di velocità, mettendo insieme età del guidatore, suoi incidenti passati e altri dati, si potrebbe personalizzare il limite (un esperto guidatore che non ha mai avuto incidenti può anche andare a 120, un neopatentato è meglio che resti al massimo ai 90). L'altro articolo del responsabile della pastorale universitaria di Torino, don Luca Peyron, parlava dell'effetto del digitale sulla cultura, mettendo in luce che ci fa sembrare tutto reversibile e niente di definitivo. Invece la morte fa il contrario: la fine dà risalto a ciò che è utile e ciò che non lo è. Anche l'algoritmo ti fa sembrare che non ci siano regole assolute, ma tutto è modificabile.
Ecco, pensavo che in questi giorni stiamo vivendo questo. La responsabilità per evitare il contagio intrecciata con la paura fa mettere tutto sullo stesso piano: l'importante è stare a casa. Vero: l'emergenza deve sospendere tante cose, ma andare al lavoro non è come andare a trovare amici e andare a messa non è come andare al cinema. Chissà se domani riscopriremo il criterio per stabilire cosa è norma assoluta e cosa è meno assoluta, a prescindere dalla situazione concreta e dall'emergenza? E chissà se riscopriremo anche il valore di scelte definitive e di valori considerati definitivi?

"«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù:  non avrai altri dèi di fronte a me." (Es 20,2-3)

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