17 maggio 2020

La paura della ripresa

Una cosa che mi ha colpito in questi giorni in cui si stanno valutando tutte le disposizioni per la ripresa delle celebrazioni è la paura che si sta diffondendo. Quasi che sia una iattura dover riaprire. La prudenza necessaria spesso si trasforma in timore di cosa possa succedere, in sfiducia nella capacità di responsabilità delle persone. Per cui si vorrebbero mettere regole più rigide del previsto, a volte quasi come se fossimo in ospedale. All'inizio non le prendevo troppo sul serio, perchè mi sembravano più questioni personali. Poi anche in chi propone misure meno severe ho respirato di quest'aura di timore, che fa a botte con la bellezza del riprendere a vedersi dal vivo pur in sicurezza. Allora ho pensato che abbiamo respirato quest'aura "inquinata" da qualche parte. In fondo lo spirito italiano ha radici profonde: siamo convinti che senza sanzioni, senza misure severe la gente non si renda conto. Sicuramente c'è del vero, ma continuare a usare lo stesso atteggiamento paternalistico non fa che aggravare le cose e precludere un futuro migliore con la motivazione nobile di salvare delle vite.
Solo quando si parlerà degli altri e con gli altri come persone con la testa sul collo e col cuore che può battere, si può sperare di costruire qualcosa che non sia un asilo infantile (in cui mi sembra che questi metodi siano stati lasciati da tempo) o un carcere.

"Guai a quanti scendono in Egitto per cercar aiuto,
e pongono la speranza nei cavalli,
confidano nei carri perché numerosi
e sulla cavalleria perché molto potente,
senza guardare al Santo di Israele
e senza cercare il Signore" (Is 31,1)

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