10 agosto 2020

reagire alla paura

 Sto prendendo coscienza che l'epidemia ha generato paure a tanti livelli. E di conseguenza ci sono diversi modi di reagire. 

Il livello più elementare è la paura del contagio in sé. Questo spinge molte persone a uscire molto poco (così come mi è stato confermato ancora ieri da una coppia di miei coetanei, molto sportivi, eppure...). La reazione ovviamente è di un saggio equilibrio tra sforzarsi ad uscire e usare le protezioni adeguate.

Un secondo livello è la paura di quel che potrà accadere, non solo a livello sanitario, ma anche a livello socioeconomico. Su questa paura i media ci costruiscono pagine e pagine. La reazione è quella di una sana razionalità per affrontare questo futuro, senza illusioni, ma anche se attese miracolistiche di qualcosa o di qualcuno.

Ma c'è una terza paura. Me ne sono reso conto ieri che sono andato a celebrare la messa al termine del campo scout di reparto. Un campo molto complicato da organizzare eppure che ha lasciato il segno nei ragazzi (quelli che c'erano) che oltre al solito scouting, sono anche riusciti a fare rafting e a farsi un pezzo di bicicletta non male. Altri gruppi scout, anche molto più organizzati, non ci sono riusciti. A questo livello la paura è proprio di non essere in grado di affrontare la nuova realtà. E' come se l'esperienza che ti sei fatto non ti serva più e sei di nuovo daccapo. E' la paura di crescere. Questa non so come la si affronta, ma di sicuro è quella che blocca di più perchè dalla tua hai tutte le ragioni per non azzardare nulla. Proprio come quando si cresce: ci sono tutte le ragioni per preoccuparsi delle conseguenze dei rischi che corri. Ma è il prezzo da pagare.

"Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato"

(1Cor 13,11)

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